Ormai Michael Bublé e Mariah Carey sono in agguato in qualsiasi stazione radio. Panettoni e pandori spingono la popolazione alla guerra civile e strane luci colorate e intermittenti tentano di confonderci o forse ipnotizzarci con un qualche segreto codice morse per convincerci a comprare più cose da sbolognare ad amici e conoscenti come “regali”. È la magia del Natale.  

Tuttavia, questo periodo dell’anno è stato associato, in molte società, a un momento di passaggio: Una breccia si apre tra questo mondo e quello dei morti *musica inquietante* chiamati a prendere parte ai riti di fertilità della terra (e infatti spesso si celebra la fine dei raccolti).  

Nel medioevo e in età moderna il Natale appariva molto diverso dall’idillio incantato che conosciamo oggi. Si rappresentava in terra un “paradiso rilucente d’oro, d’azzurro e vermiglio”, ma anche un “inferno cavernoso e spaventevole” (Perrot, 2012: 36) alla Nightmare Before Christmas, in cui l’argine tra i mondi si rompe, mescolando aldilà e aldiquà.  

A meno che non siate Tim Burton, è probabile che vi sia difficile immaginare qualcosa di più distante della morte dallo spirito del Natale. Questa vittoria della vita sulla morte, della luce e del colore sul buio delle notti più lunghe dell’anno, della bontà e generosità (o almeno questa è la narrazione, non necessariamente la pratica) sull’egoismo e sull’indifferenza, ci parla di un’umanità che è riuscita ad allontanare la morte dal proprio quotidiano e a dimenticare quanto in passato fosse facile temerla e trovarsela davanti agli occhi, tanto da doverla rappresentare e scongiurare tramite il rito. 

L’inverno stesso, una volta temuto e potenzialmente fatale, una scadenza annuale che se non rispettata nei necessari preparativi (provviste, ripari, legna) la morte te la portava in casa. Oggi, invece, è il bianco Natale in cui si interrompe (o dovrebbe) la frenesia del lavoro, ci si satura le coronarie e si passa il tempo con la famiglia allargata. Che idillio. 

Ma in tutto ciò, che ruolo ha il trippone vestito di rosso

Come diventa il garante del patto sociale tra genitori e bambini, in virtù del quale i secondi sono vincolati a comportarsi bene per essere premiati con dei doni (ufficiosamente dai primi, ufficialmente da Babbo Natale)?
Una delle analisi più curiose è quella dell’antropologo Claude Lévi-Strauss (pronuncia: /St’ros/ , non è quello dei jeans, non ci provate). Insomma, Claude si trova a ragionare su un evento… singolare: 

 

“BABBO NATALE È STATO BRUCIATO
 SUL SAGRATO DELLA CATTEDRALE DI DIGIONE
 DAVANTI AI BAMBINI DEI PATRONATI” 

 

Recitava prima pagina del quotidiano France-Soir. Un povero fantoccio di Babbo Natale era stato processato dal clero digionese e condannato come usurpatore ed eretico. Il fatto è che alla chiesa francese era rimasto sullo stomaco che gli anticlericali fossero riusciti ad abolire il presepe nelle scuole mentre il panzone con le renne ci scorrazzava indisturbato. 

Lo scandalo sfugge di mano ai suoi organizzatori e il Babbo Natale arso vivo nella cattedrale risorgerà la sera stessa in municipio, sfilando sotto i riflettori e parlando ai bambini dal tetto della struttura. Meraviglioso. 

Stampa e opinione pubblica accorrono a spada tratta in difesa di mr. Oh-Oh-Oh, mettendo all’angolo la Chiesa. Leggendo tra le righe dei giornali si trova la definitiva perdita di potere di un’istituzione ecclesiastica. Prima poteva mandare al rogo persone vere e nessuno si azzardava a discutere su che tipo di legna usare per il falò, adesso prova a bruciare un pupazzo e tutti si incazzano. 

Il paradosso che evidenzia Lévi-Strauss è che i primi a scattare in difesa del Babbo sono gli anticlericali, eleggendolo a simbolo dell’irreligione: dunque è la Chiesa che attacca la superstizione, mentre i razionalisti la difendono. Plot-twist. 

 

Ma è proprio l’apparente inversione di ruoli a insospettire Claude. Il fatto accade negli anni ’50, quando il Natale come oggi lo conosciamo ancora non esisteva in Europa ma si stava diffondendo, e la Chiesa lo sapeva. Ciò che non avrebbe potuto

prevedere è che il suo stesso gesto ne avrebbe sancito l’immortalità. Ma andiamo con ordine:
il Babbo Natale che conosciamo, di fatto, è un mosaico di elementi antichi e nuovi assemblato di recente.
Per esempio, le renne associate alle festività natalizie compaiono già nel Rinascimento in alcuni documenti inglesi. La casa in Groenlandia sembra essere

 una leggenda nata nella Seconda guerra mondiale tra le truppe americane lì d’istanza, poi spostata in Lapponia e poi di nuovo al polo Nord. Tuttavia, l’importanza del rifila-carbone-a-tradimento emerge nell’essere la figura chiave di un rito di passaggio.   

Babbo Natale non è un essere mitico né leggendario, perché non c’è un mito che ne spieghi le origini né un racconto semi-storico. Per Claude, quindi, appartiene alla classe delle divinità: i bambini gli riservano offerte (latte e biscotti) e preghiere in certi momenti dell’anno. A separarlo da una divinità a tutti gli effetti è il fatto che gli adulti non credono in lui, ma incoraggiano i bambini a crederci inscenandone l’operato. 

A questo punto, sottolineando come nella maggior parte delle società i bambini siano esclusi dal mondo degli adulti tramite una serie di misteri e conoscenze che verranno rivelati solo al momento opportuno, l’antropologo utilizza il comparativismo tipico della sua professione, paragonando il simpatico e pasciuto vecchietto con un caso simile in una società che, in virtù dell’isolamento dal mondo occidentale, non può aver semplicemente appreso l’usanza, la quale deve quindi essere l’espressione di strutture universali e della mente umana. È il caso dei kachina (pronuncia: /ka‘t̠ʃina/ ma non so neanche perché la scrivo che tanto ‘sti simboli non li sa leggere nessuno) tra nativi americani pueblo del Sud-Ovest degli Stati Uniti. I kachina sono personaggi che ogni anno tornano per punire o ricompensare i bambini (e travestiti in modo che questi non vi riconoscano parenti e genitori). 

Ma oltre alla chiara funzione di aiutare gli adulti a tenere a bada le bestiacce, Claude individua un meccanismo più sottile e complesso che connette i kachina a Babbo Natale. Si chiede, infatti, “se il rito raccoglie e concentra le richieste dei bambini di ricevere dei doni, da dove nasce il diritto dei bambini a riceverne? Perché creare una narrazione magica che impone tante mistificazioni non necessarie al mantenimento di ordine e obbedienza, per i quali basterebbe il meccanismo di premio-punizione?” 

Secondo il mito, i kachina sono le anime di alcuni bambini che nell’epoca delle migrazioni ancestrali annegarono tragicamente attraversando un fiume. Un gioioso Natale a voi. Il loro periodico ritorno non era un evento allegro (chi l’avrebbe detto?), gli spiriti rapivano i bambini dai villaggi per portarli con sé nell’aldilà. Così, per placarli e far sì che non tornassero nel mondo dei vivi, nacque l’usanza di rendere loro omaggio-esorcizzarli impersonandoli con apposite maschere e danze nel loro atto di punire o premiare i bambini. 

Ma che c’entra il ritorno dei defunti con l’infanzia e Babbo Natale? Come hai già letto all’inizio dell’articolo, questo periodo dell’anno è un momento di passaggio, terminano i cicli agricoli, e un po’ in tutto il mondo la forza necessaria a far rinascere la natura è stata legata all’intervento degli spiriti dei defunti, che proprio in questo periodo penetrerebbero nell’aldiquà, così da doverli gestire e placare 

Quindi: momento di passaggio, rottura tra i mondi, arrivo dei defunti, fine ciclo agrario e natura in letargo = necessità di tenersi buoni i defunti in villeggiatura nel nostro mondo: a) per far sì che non facciano danni; b) per sfruttarne l’intervento così da aiutare la natura a rinascere. Chiaro no? 

Ora, conoscere il segreto di Babbo Natale o dei kachina è un momento chiave di un rito di passaggio, che fa da spartiacque tra l’infanzia e l’inizio dell’età adulta. Ma la relazione iniziati / non iniziati è sempre un rapporto simbolico complementare tra due gruppi: uno che rappresenta gli spiriti dei defunti e l’altro i vivi. Chi non è ancora diventato ufficialmente “uomo” o “donna” tramite il rito si trova in un limbo, più vicino al gruppo dei primi che dei secondi.  

Ecco che i bambini pueblo sarebbero loro stessi i kachina: i doni fatti a loro sono tributi agli spiriti. Il bisogno di fare doni ai bambini tramite Babbo Natale sarebbe allora la trasposizione atavica e universale di omaggiare, tramite essi, gli antenati. Cioè, così come i bambini si fanno inconsciamente simbolo degli spiriti/defunti/antenati, gli adulti che impersonano i kachina/Babbo Natale mettono in scena la rappresentazione di un atavico tributo a chi è venuto prima di noi, per scongiurare e allontanare, ancora una volta, la morte. 

E, infine, quando la Chiesa mette al rogo il vecchio-campanellino, ne sancisce definitivamente la rinascita come simbolo. Bruciando Babbo Natale, fa rinascere un rito. Un rito vecchio millenni. 

 

 

Leggi:
Perrot, M.
2012 Etnologia del Natale. Indagine su una festa paradossale, Elèuthera, Milano. 

Lévi-Strauss, C.
1995 Babbo Natale Giustiziato, Sellerio Editore, Palermo. 

 

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