di Stella Francoise Iacovelli

La mia famiglia ha la necessità di operare una serie di rituali al fine di scacciare la sfortuna. Intendiamoci bene: al di fuori di questo mi considero una persona estremamente razionale. L’assurda consuetudine –  che si tramanda dalla notte dei tempi fino ad arrivare a mia madre, la sciamana officiante dei rituali –  può essere letta seguendo gli aspetti delineati da Angelo Brelich in “Introduzione alla storia delle religioni, i quali permettono di delineare una prima definizione di religione, dimostrando così come mia madre sia vicina al fondarne una.

Il rituale base, più volte eseguito durante il giorno, vuole che se delle monete/stampelle/cappelli/spazzole/ombrelli siano poggiati sul letto, bisogna assolutamente rimuoverli e sputare sul punto sul quale erano poggiati. Questo rituale viene eseguito al fine di scacciare la sfortuna.

Ma per parlare di religione bisogna indentificarne i concetti chiave, che secondo la definizione Brelich sono:

  1. Personale specializzato: mia madre è riconosciuta come una “sciamana” grazie ai suoi poteri. Non possiede una palla di vetro e non cade in stati di trance mettendoci in connessione con un mondo superiore, ma è soggetta a sogni premonitori, che spesso interpreta per giocare i numeri del lotto; se si perde un oggetto in una casa, ha una formula magica che recita con una precisa intonazione e quell’oggetto viene ritrovato, e soprattutto ci ha insegnato dei rituali per scacciare la sfortuna.
    In una prospettiva religiosa, come direbbe Daniel Kahneman, mia madre è impregnata di una autorità persuasiva grazie ai simboli che utilizza. In pratica, ad oggi riponiamo in mia madre l’autorità scagionatrice, secondo la quale è essenziale agire in un determinato modo da lei indicato per evitare la malasorte. Mia madre rientra in quella categoria di personale specializzato che per prima opera il rito e in seguito conferisce potere ai suoi adepti di operare in quanto singoli;
  2. Credere: agli occhi di Brelich, sono sottoposta a un credo senza alternativa, un vero sistema di pensiero chiuso. Partiamo da un esempio: se non mi attengo al rituale, lasciando un ombrello poggiato sul letto e il giorno dopo buco una gomma della macchina, non è perché io abbia preso dei chiodi che erano sparsi sulla strada, bensì i chiodi erano lì perché non ho tolto l’ombrello e non ho sputato sul letto. Il mio mancato adempimento agli insegnamenti di mia madre determina le sfortunate conseguenze, non potrei dare una spiegazione del tipo “qualche teppista ha lasciato i chiodi per strada per divertimento”, non ho una spiegazione alternativa al risultato delle mie azioni. Non è un fenomeno valido per la specie umana, solo nella mia famiglia e in alcuni conoscenti si è instaurato questo valore: come una piccola comunità di fedeli, non ricerchiamo le possibili cause altrove e non riusciamo a pensare ad altri fattori determinanti. Nel nostro Sistema, funziona così.
  3. Rituali e comportamento: non basta credere, bisogna anche praticare e osservare un comportamento. In questo caso, il dover sputare sul letto. L’elemento che mi consente di utilizzare la parola “rituale” è la presenza di queste pratiche nella mia vita, che generano un vero e proprio stato emotivo: se vado a casa di un amico e noto una spazzola sul letto è per me un fattore ansiogeno e devo assolutamente operare il rito, che eliminerà il mio stato di disagio emotivo e mi libererà dalla sfortuna che incombe in conseguenza al mancato adempimento al rituale. In pratica, in quanto credente nei valori professati da mia madre, sono obbligata a operare i rituali nel momento di necessità per non soccombere alle avversità conseguenti. Non potrei mai tirarmi indietro da queste pratiche, perché attirarerei la sfortuna. I nostri conoscenti stretti sono richiamati a osservare il nostro “credo”: in nostra presenza non è pensabile che gli oggetti impregnati di dannazione sfiorino il piumone, e nel caso dovesse accadere, siamo obbligati ad agire. Fortunatamente, chi è stato informato di questa “peculiarità” si impegna per non farmi agire contro la sfortuna. Peraltro, nella condotta delineata da mia madre, è assolutamente tabù definire una scemenza questa pratica, in quanto raddoppierebbe la dose di sfiga;
  4. Narrazione: come posso credere a tutto questo? I nonni dei miei nonni hanno sperimentato e appreso nel corso del tempo le conseguenze del lasciare monete e ombrelli sulle lenzuola: chi ha avuto un incidente in seguito, chi è stato male, chi ha perso le chiavi di casa… In questo contesto, le storie dei miei antenati assumono il ruolo di una narrazione funzionale, come nei miti. Una narrazione che non spiega perché avvengano le sfortunate conseguenze, ma le fonda conferendogli valore. Nota bene: ho chiamato questo punto “narrazione” e non “mito”, perché per essere tale avrebbe bisogno di una volontà divina che ancora non è stata esplicata e che, di fatto, pone la distanza tra la fondazione di una religione e la sua quasi-fondazione.
    Se alla base di questo insieme di superstizioni ponessi la presenza di un dio, cosa succederebbe?


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