Domenica 13 febbraio, si è giocato il 57° Super Bowl a Glendale, in Arizona. Da fedele ascoltatore di Morning, il podcast di Francesco Costa, ho preso spunto dalla sua assenza durante quella settimana – era appunto negli Stati Uniti per girare una piccola serie di documentari sul mondo del football americano – per una mia personale riflessione sul significato rappresentazionale che accomuna il Super Bowl e il Festival di Sanremo.  

Confesso che il football americano non mi abbia mai particolarmente appassionato e soprattutto ho sempre considerato il Super Bowl una specie di mistero. Insegno da tanti anni in un college americano, conosco la cultura popolare americana direttamente dall’esperienza di tutti gli studenti passati per il Trinity College e ogni anno mi sorprende il fatto che i ragazzi, gli studenti, soprattutto i maschi, comincino giorni prima i preparativi. Li vedo eccitati: hanno qualcosa da raccontarsi, da dirsi, guardano il cellulare, verificano le statistiche e regolarmente, quando chiedo loro di cosa si tratti, si stanno preparando al Super Bowl.  

La visione notturna, tutti assieme, è accompagnata da bevute, discussioni, chiacchierate, risate, incazzature e il lunedì è un disastro, a lezione non sono molto partecipi, sono stanchi. È un chiaro segnale di quella che i sociologi chiamano “effervescenza collettiva”, una specie di sistema di emozioni incorporate dai singoli, ma condivise. Sentono insieme le stesse emozioni e questo crea un senso forte di appartenenza e di identità. 

Mi sono sempre chiesto quale fosse la causa di questo senso di effervescenza collettiva e so, soprattutto dal “fatto sociale totale” di Marcel Mauss, che esistono degli eventi che in qualche modo riescono ad agganciarsi agli individui, facendoli agire secondo modelli culturali molto rigorosi e contemporaneamente molto poco riconducibili a un set di norme esplicite. Ci si comporta in quel modo perché stando dentro quella cultura si impara a riconoscere i sentimenti e gli stati d’animo che quell’evento procura, quindi lo si partecipa consapevoli della sensazione, senza però sapere chi l’abbia insegnata, da dove provenga esattamente.  

Marcel Mauss sosteneva che i “fatti sociali” di Durkheim, in alcuni casi, possono diventare “fatti sociali totali”: uno specifico evento è come se riuscisse a condensare tutta la complessità di quel sistema sociale, a raddensare tutti i pensieri, i sentimenti, gli stati d’animo, le sensazioni, le riflessioni che una cultura riesce a esercitare su tantissimi temi diversi. Dalla politica all’economia, alla relazione tra gli individui, fino alle classi sociali: tutto si condensa in uno specifico evento. 

Sicuramente il Super Bowl è un fatto sociale totale e quindi forse il mistero, anche un po’ lo strano imbarazzo, che mi suscita il vedere questi ragazzi così coinvolti, si giustifica semplicemente in questo modo: io non sono parte interna di quella cultura e quindi non riesco a cogliere la densità del significato che quell’evento ha per chi vi partecipa dall’interno. 

Questa riflessione mi è tornata ancora più chiara, quando a pranzo con alcuni colleghi – tra cui anche un carissimo amico americano in Italia da una ventina d’anni, che parla perfettamente italiano ed è sicuramente un profondo conoscitore della nostra cultura – si parlava dell’evento più dibattuto in questi giorni in Italia, il Festival di Sanremo. Stephen, il mio amico americano, ha espresso una sua considerazione che mi ha permesso di collegare proprio il Super Bowl con il Festival di Sanremo, perché nutre nei confronti quest’ultimo lo stesso mio atteggiamento rispetto al Super Bowl.  

Diceva Stephen: «sono da vent’anni in Italia, eppure il Festival di Sanremo, e soprattutto il modo in cui è vissuto dagli italiani, mi resta un mistero», esattamente le mie stesse parole. Gli ho risposto subito: «proprio il fatto che non si capisca è un chiaro segno della sua rilevanza culturale, della complessità, della densità di questo significato. Il fatto che ti risulti così incomprensibile non è un segno della sua incomprensibilità, casomai della tua distanza culturale. Che tantissimi italiani vi partecipino in questa maniera, così sintomatica di una effervescenza culturale è la prova dell’importanza simbolica di questo evento». 

A Sanremo si parla di canzoni, è ovviamente una gara così come il Super Bowl, ma rappresenta quasi esclusivamente un pretesto per parlare invece di identità nazionale, declinata in mille forme: dall’identità politica (ne è un esempio la questione di Zelensky) a un altro tema fondamentale per noi in Italia, ossia la questione generazionale. Alcuni concorrenti sono molto giovani, alcuni sono invece attempati, altri sono quasi frollati. C’è spazio per un curioso dialogo tra queste generazioni. Sappiamo benissimo che l’Italia non è un Paese per giovani e a Sanremo è come se in qualche modo se ne parlasse. 

Quando, ad esempio, un paio di sere fa, c’è stato il miniconcerto di Massimo Ranieri, Gianni Moranti e Albano, da antropologo ho guardato il pubblico ed era chiaramente un momento di effervescenza culturale che riusciva proprio ad attraversare collettivamente le generazioni. Io lo stavo guardando a casa con la mia famiglia e la mia seconda figlia, che ha quasi quindici anni, e il mio terzo, che ne ha quasi undici, erano intrappolati nella visione di questi tre ultrasettantenni che cantavano. C’è qualcosa che funziona quindi anche sul piano generazionale. 

Ma anche lo stesso intervento di Paola Enogu sulla questione razziale ci ha messo di fronte al fatto che il nostro Paese è razzista. E se è stato uno scandalo, benissimo, Sanremo deve fare questo. Oppure ancora, il modo in cui più trasversalmente è affrontata la questione di genere, attraverso i molti artisti che si presentano in versione gender fluid. Emerge tutta la possibilità, per un evento sociale totale di questo genere, di parlare e far sì che la società esprima se stessa attraverso la dimensione culturale. Lo ha sempre fatto Sanremo negli oltre settant’anni della sua esistenza: si è parlato di conflitto sociale, quando il dibattito era più legato alle classi sociali, così come di divario tra nord e sud. Il Festival di Sanremo è stato e continua a essere una vetrina per i temi culturali più rilevanti, che vi prendono una loro forma rappresentazionale, una visibilità narrativa. 

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